Odyssey, se Assassin’s Creed non somiglia più a se stesso (ed è un bene)

di Dario Marchetti

Squadra che vince non si cambia, dice un vecchio adagio. Ma per arrivare oltre il decennio di vita, con ritmi folli da uno o più titoli all’anno, il cambiamento è una costante dalla quale non si può prescindere. Con tutti gli alti e bassi che ne conseguono. E anche a costo di allontanarsi dalle radici degli inizi. Lo ha capito bene Ubisoft, che con Assassin’s Creed ha ormai tra le mani un leviatano videoludico dalle dimensioni spropositate, una creatura mitologica che senza le giuste redini rischia di fagocitarsi da sola. Fortuna che la tendenza è stata invertita, con l’avvento di Origins l’anno scorso. E con il recente arrivo di Odyssey, che ancor più di prima ci ricorda che per sopravvivere al tempo, Assassin’s Creed deve smettere di essere Assassin’s Creed.

Com’è facile intuire dal titolo, Odyssey è ambientato ai tempi dell’antica Grecia, precisamente nel 431 a.C., data d’inizio delle Guerre del Peloponneso tra Sparta e Atene. Un’epoca nella quale Assassini e Templari, le due fazioni in eterna lotta per il controllo del mondo, non erano ancora nate. Il che ne fa, cronologicamente parlando, il primo episodio della serie. Un dettaglio non da poco, che ha contribuito alla gigantesca sensazione di libertà offerta da questo titolo. Sensazione data non solo dall’immensa mappa, con mari, montagne, isole e caverne, ma anche dalla mancanza (o dalla riduzione) di molti degli stilemi della saga, ormai triti e obsoleti. Tanto che, anche senza il marchio di fabbrica della serie, ci troveremmo di fronte a un gioco con una identità tutta sua. Anche perché, detto senza mezzi termini, più che ad Assassin’s Creed, Odyssey assomiglia a The Witcher 3. Con una scrittura e un pubblico molto diversi, certo, ma non per questo peggiori. Semplicemente diversi. Qui il fantasy puro di CD Projekt Red, con foreste e paludi, lascia spazio alla lussuriosa vegetazione della Grecia, con templi, porti e gigantesche statue a fare da skyline ante-litteram, anche grazie a un motore grafico che anziché sui minuscoli particolari si concentra, e con ottimi risultati, sui grandi spazi.

Per la prima volta nel franchise, Odyssey consente anche di scegliere se giocare nei panni di Kassandra o Alexios. Una scelta che ha un impatto importante sul gioco in sé, visto che non siamo di fronte a una semplice distinzione tra uomo e donna, ma fra due personaggi veri e propri, con storie vicine tra loro (tanto per evitare spoiler) ma con caratteri molto diversi. Il resto è un simulatore di vite parallele che include tante, tantissime anime. Dalle centinaia di quest al combattimento, mai così ricco e dinamico, dalle battaglie navali a quelle militari, con regioni controllate ora da Sparta, ora da Atene, fino al sistema dei Mercenari, versione minore del Nemesis System di Shadow of Mordor/Shadow of War, Odyssey riesce a reinventarsi in continuazione, rimanendo sul filo del rasoio tra narrazione pseudo-storica (la chiacchierata con Socrate) e mitologica (lo scontro con Medusa), diventando di volta in volta il gioco che ognuno di noi vuole che sia. Anche grazie a una nuova modalità (opzionale) che ripulisce la mappa dai mille segnalini per costringerci a orientarci e muoverci seguendo gli indizi della geografia. Un’idea semplice ma valida, una delle tante che restituiscono a noi giocatori il controllo della situazione, senza tenerci più la mano. Anche perché per sviscerarlo tutto, senza considerare i DLC in arrivo, serviranno almeno cento ore. La buona notizia è che dopo le prime cinquanta non abbiamo ancora voglia di abbandonarlo.

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