di Dario Marchetti
Da che mondo è mondo, il genere post-apocalittico di stampo nucleare ci ha insegnato poche, semplici cose: una volta cadute le bombe, il pianeta si trasforma in una landa semi-desolata e desertica, popolata da creature mutanti e anomalie radioattive di ogni tipo. Un’idea così popolare e così abusata che al di là di qualche eccellenza seriale come Fallout e Metro 2033, comincia a mostrare le prime, vistose crepe. Sarà per questo che in quel di Ubisoft hanno deciso di accartocciare gli stereotipi e segnare una tripla nel cestino dell’ufficio, tirando fuori dal cappello New Dawn, il primo pseudo-sequel narrativo nella saga di Far Cry.
Ebbene sì: New Dawn, la nuova alba, prende il via 17 anni dopo il finale di Far Cry 5, ambientato nel verdeggiante Montana tra estremisti religiosi e survivalisti armati fino ai denti. Passati quasi due decenni dalla caduta degli ordigni nucleari, i pochi sopravvissuti nei bunker tornano in superficie per ri-dare vita alla civilità. Solo che stavolta le lussureggianti colline di Hope County sono più verdi di prima, la natura ha reclamato il suo trono cancellando l’opera dell’uomo e di mostri mutanti non si vede nemmeno l’ombra. Considerando il solleone, l’arietta fresca e i cervi intenti ad abbeverarsi nei fiumi, potremmo dire che quella di New Dawn è l’apocalisse più gioiosa che si sia mai vista. Se non fosse per gli Highwaymen, un gruppo di pazzoidi alla Mad Max che vive secondo la legge del più forte, capitanati da due loquaci e istrioniche gemelle, che insieme incarnano il cattivone superstar di turno che ogni Far Cry ci ha sempre regalato.
A noi, nei panni del solito protagonista silenzioso, toccherà il ruolo di salvatori della patria (o di ciò che ne rimane), liberatori degli oppressi e spauracchio dei nemici. Fin qui tutto normale, almeno per i canoni di Far Cry. Ma New Dawn ha più di un asso nella manica, a partire da un semplice escamotage, ovvero la possibilità di rivisitare molti luoghi del titolo precedente e osservare come e quanto sono cambiati. Un compito reso ancora più facile e piacevole dal fatto che la porzione di mappa compresa in questo sequel è ben minore rispetto a quella del predecessore. Esatto: New Dawn è un gioco più piccolo, che richiede meno ore per essere completato, ma non per questo meno meritevole. Anzi: grazie a una serie di scelte oculate in termini di meccaniche, il gameplay scorre che è un piacere. Il cuore del sistema di gioco è quello che già conosciamo, ma non ci sarà più bisogno di costruire oggetti e oggettini di ogni tipo, magari attraverso pelli rare e materiali introvabili. Per migliorarsi basterà infatti costruire via via nuove armi con tutto ciò che si recupera nel corso delle “normali” missioni, alcune delle quali originali e divertenti come poche altre volte.
Il cuore dei potenziamenti del personaggio ruota attorno a un sistema di “perk points”, ottenibili sia completando le centinaia di sfide (“uccidi cinque nemici con una pistola”, “distruggi cinque veicoli”, etc.) sia attraverso delle riviste da trovare in giro per il mondo di gioco. Mentre la cittadina di Prosperity, il nostro baluardo di civilità, andrà migliorata grazie all’etanolo, ottenibile conquistando gli avamposti nemici. Tornano anche i mini-puzzle legati ai bunker, da infiltrare superando le strambe misure di sicurezza piazzate dai survivalisti. E tornano, oltre ai luoghi, tantissimi personaggi conosciuti prima del disastro: alcuni invecchiati, alcuni menomati, altri impazziti, altri ancora intenzionati, oggi come allora, a stare al nostro fianco come alleati. Eccezion fatta per Joseph Seed, il villain di diciassette anni prima, ancora pimpante e schizzato come non mai.
Sia chiaro: come per FC5 anche qui non ci troviamo di fronte a una grande sceneggiatura né al cospetto di dialoghi memorabili. Far Cry: New Dawn non ha interesse a prendersi sul serio, non vuole evocare dilemmi morali né fornire elaborate disquisizioni sui rischi di una guerra termonucleare. L’apocalisse stavolta è un pastiche al rosa neon, corredato da graffiti, ghettoblaster a tutto volume, seghe circolari usate come munizioni e fucili con un cacciavite al posto della baionetta. Il tutto servito su un gioco più concentrato, anzi, conciso, che non richiede di investire decine e centinaia di ore per essere completato. E a dirla tutta a noi va bene così. Anzi, ci piace ancora di più, visto che in questi anni duemila-quasi-venti è il tempo, più che il denaro, la risorsa più preziosa in circolazione. Con la fine del mondo in arrivo, come potrebbe essere altrimenti?