Crash Bandicoot: N.sane Trilogy, il ritorno di una mascotte

di Dario Marchetti

Sulle pagine di questo blog lo abbiamo detto già diverse volte: non siamo grandi fan dei remake a tutti i costi, di quei videogiochi che, complice la nostalgia, vengono sottoposti a un bel lifting grafico e rimessi in commercio, sempre più spesso a pochi, pochissimi anni dalla loro prima pubblicazione. Ci sono ovviamente delle eccezioni. L’ultima delle quali si chiama Crash Bandicoot: N.Sane Trilogy, un pacchetto, disponibile su PS4, che riunisce i tre mitici titoli usciti tra il 1996 e il 1999, tutti dedicati al pazzo marsupiale ideato da Naughty Dog. Sì, gli stessi signori dietro le saghe di Uncharted e The Last of Us.

Il bello è che lo studio Vicarious Visions, che si è occupato del progetto, ha completamente rimaneggiato il comparto grafico, portandolo agli standard odierni, senza però spostare una virgola in termini di giocabilità: ogni singolo nemico, ogni cassa, frutto e vita extra si trova esattamente dov’era più di vent’anni fa. Il risultato è un magico ritorno all’adolescenza, a quei pomeriggi passati davanti alla Playstation, accompagnato però anche da una sensazione di stupore. Data soprattutto dalla difficoltà dei tre giochi, con salti che spesso vanno calcolati al millimetro e livelli che in alcuni casi rischiano di farci scagliare il controller contro il muro. Unico, piccolissimo difetto: sarebbe stato bello avere un’opzione per passare al volo dalla nuova alla vecchia grafica e viceversa, opzione ormai presente in molte “remaster”. Poco male.

Insomma: Crash Bandicoot come Dark Souls. Anzi, il contrario, visto che il roteante animale, l’alternativa di casa Sony a mascotte come Mario e Sonic, era impegnativo già al tempo. Eppure, chissà come mai, ce ne eravamo completamente dimenticati. Resta a questo punto una domanda legittima: ma a dodici anni eravamo già così bravi a videogiocare? Oppure l’entusiasmo e la spensieratezza di quell’età erano tali da farci dimenticare ogni incazzatura? Una risposta definitiva non siamo in grado di darla. Ma questa trilogia ci ricorda che, nel bene e nel male, certi tipi di videogiochi non ci sono più. E che operazioni del genere, quando ideate con saggezza, servono da un lato a far tornare bambini i giocatori più esperti. E a ricordare ai bambini di adesso che anche quando i poligoni erano più appuntiti e non c’era il 4K, ci si divertiva già da matti.

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