Soul Calibur VI, chi di spada maligna ferisce…

 

di Dario Marchetti

Forse sono l’eccezione che conferma la regola, ma in quanto schiappa colossale io nei picchiaduro mi sono sempre concentrato sui personaggi e le loro storie. Convinto che oltre a un sistema di combattimento fatto a modo servisse anche un motivo più o meno credibile che spingesse dozzine di personaggi a darsele di santissima ragione. E allora ecco che tra un Mortal Kombat e l’altro mi chiedevo perché e per come ci fossero un Sub-Zero smascherato e uno mascherato. Oppure il perché, gioco dopo gioco, Yoshimitsu di Tekken cambiasse costantemente aspetto, passando dall’aspetto di un ninja a quello di un alieno insettoide. Alcune di queste domande hanno trovato risposta, altre no. La mia fissazione per le storie però è rimasta la stessa.

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Bandersnatch: Black Mirror, i videogiochi e il libero arbitrio

 

di Dario Marchetti

Oltre che geniale deus ex machina dietro la serie tv Black Mirror, Charlie Brooker è un gran furbacchione. Perché con Bandersnatch, film-episodio disponibile su Netflix, ha inaugurato l’era dei contenuti tv interattivi: all’interno della storia ci viene infatti chiesto, di tanto in tanto, di fare una scelta tra due opzioni (col telecomando della smart tv, o col dito, in caso di smartphone e tablet). Scelte che andranno a influenzare, più o meno, l’esito della storia e dunque anche il finale. Insomma l’intrattenimento on-demand incontra le storie a bivi, cartacee prima, elettroniche poi, dei bei tempi che furono.

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Red Dead Redemption 2 è un mondo, non una simulazione

 

di Dario Marchetti

Scrivere di Red Dead Redemption 2 è un compito ingrato. Perché l’ultima creazione di Rockstar Games è sbarcata su console dopo una lunga gestazione e anni di hype totalmente fuori controllo, tanto che bastava qualche brandello di screenshot o un’immagine puramente promozionale per scatenare il visibilio dei videogiocatori di mezzo globo. Livelli di attesa meritatissimi, per carità, visto anche il livello qualitativo del predecessore e in generale la reputazione stellare di casa Rockstar. Ma che proprio per questo rendono difficilissimo avvicinarsi a questo mondo con lo sguardo privo di giudizi precostituiti.

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Fallout 76, l’apocalisse è bella solo se condivisa

 

di Dario Marchetti

L’apocalisse, specie se nucleare, ha un fascino perverso tutto suo. C’è qualcosa di morboso e allo stesso tempo di eccitante nell’idea di un mondo che smette di esistere per poi rinascere dalle proprie ceneri radioattive. Da vent’anni la serie Fallout (il primo episodio risale al 1997) interpreta questo sottogenere letterario in chiave videoludica, sfruttando le meccaniche dei giochi di ruolo per raccontarci la vita dopo la caduta delle bombe. Tutti giochi eccellenti per meccaniche e qualità di scrittura, ma tutti pensati per un giocatore singolo. Almeno fino a Fallout 76, appena sbarcato su console e pc con una missione mica da poco: trasformare la più solitaria delle esperienze in un viaggio corale. Una roba che, inutile dirlo, ha suscitato la gioia di molti e la furia cieca dei puristi.

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Darksiders III, questione di Furia

 

di Dario Marchetti

Poco più di otto anni fa, quasi dal nulla sbucò fuori un certo Darksiders, un videogioco che
mescolava combattimenti vagamente alla Devil May Cry e una struttura alla Zelda ma con
una direzione artistica deliziosamente fumettosa, supervisionata dal geniale Joe Madureira.
Il successo fu tale che appena due anni dopo un sequel era già sugli scaffali. E poi il vuoto
cosmico, sei lunghi anni di silenzio che, tra bancarotte del publisher THQ e asset andati
all’asta un po’ ovunque, ci avevano sottratto ogni speranza di vedere un altro videogioco
della serie. Ma a volte la forza di volontà è tale che persino dalle macerie si riesce a
rimettere in piedi un grattacielo. Né è la prova l’epopea di Gunfire Games, che con
Darksiders III ha riesumato, anzi, rianimato, un genere che credevamo ormai estinto. Continua a leggere

Playstation Classic, il ritorno di Sony alle origini del mito

 

di Dario Marchetti

La nostalgia, signora mia, tira più di un carro di buoi. Lo dimostra l’eterno ritorno dei bei tempi che furono, tra remake di ogni genere che fanno furore al cinema, in tv e in campo videoludico. Ultimo, ma non meno importante, il trend (Come parla? Le parole sono importanti!) delle mini-console avviato su larga scala da Nintendo, con piccole riproduzioni di NES e SNES da agganciare ai moderni televisori per rivivere le vecchie glorie a 8 e 16 bit. Un filone nel quale entra di diritto anche Sony, che in questo 24esimo compleanno ha scelto di omaggiare la primissima Playstation con una riedizione chiamata Classic.

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Pokémon Let’s Go, generazioni a confronto

di Dario Marchetti

Non è né un gioco della serie tradizionale né un passatempo formato smartphone come Pokémon GO (nonostante le somiglianze nel nome). Con Let’s Go, appena uscito su Switch, Nintendo ha infatti partorito una terza via, un punto di incontro in grado di tornare a far sognare chi ha conosciuto i mostriciattoli sui pixel grigio-verdi del Game Boy e di accogliere chi ha imparato ad amarli solo di recente, in formato app.

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Castlevania Requiem: due giochi, due idee di mondo (e di Dracula)

di Dario Marchetti

Castlevania: Symphony of the Night è stato, ed è tutt’ora, un gioco talmente importante da aver contribuito, insieme a Super Metroid, nel ri-definire un intero genere videoludico, quello appunto dei Metroidvania. Ma quando nel 1997 sbarcò sulle nostre Playstation europee, pochissimi di noi sapevano che quei primi 5 minuti di gioco erano in realtà un flashback da un altro titolo della serie, Rondo of Blood, uscito fino a quel momento solo in Giappone. Una stortura alla quale Konami ha voluto rimediare con Requiem, una raccolta digitale che porta su Playstation 4 sia Symphony of the Night che, udite udite, lo sfuggevole e misterioso Rondo of Blood.

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Diablo III: Eternal Collection, la lotta al male in formato Switch

 

di Dario Marchetti

 

La saga di Diablo si trova in un momento storico difficile. Dopo il successo planetario di Diablo 2 e relativa espansione, con le sue atmosfere meravigliosamente oscure e ipnotiche e un gameplay veloce e tagliente come una katana, nel 2012 Blizzard ha cercato di bissare il successo con Diablo 3. Un capitolo che nel corso degli anni ha subito numerosi lifting e cambi di direzione, nel tentativo di bissare il successo del predecessore. E il successo, in termini di vendite, c’è comunque stato. Ma per molti, troppi giocatori, le atmosfere tridimensionali e troppo “cartoonesche” (relativamente a quelle passate, s’intende), classi mal realizzate e un sistema di gioco troppo rigido e troppo legato alla casualità degli oggetti ottenuti ne hanno fatto un titolo da dimenticare. Per non parlare del rilascio su console due anni dopo, che ha fatto urlare al sacrilegio milioni di amanti del pc, probabilmente gli stessi puristi indignati dall’annuncio di Diablo Immortal, episodio in prossima uscita per smartphone. Ma questa è un’altra storia. Continua a leggere