di Dario Marchetti
Se stessimo parlando di un normale sparatutto, di quelli ambientati in qualche scenario di guerra passata o futura, festeggiarne il primo compleanno non avrebbe molto senso: il mondo degli fps, ovvero first person shooter, è fatto di sequel sfornati a ciclo continuo con l’obiettivo di mantenere alta l’attenzione dei fan, convincendoli così a comprare anche il prossimo episodio. Non è questo il caso di Overwatch, sparatutto nato in casa Blizzard (quelli di World of Warcraft, Stacraft e Diablo, per intenderci) che il 24 maggio festeggia un anno di vita. E lo fa con risultati a dir poco strabilianti: in meno di 365 giorni la base attiva di giocatori ha infatti superato quota 30 milioni in tutto il mondo. Una cifra ancora più incredibile se si pensa che Overwatch non è un titolo “free to play”, di quelli giocabili gratuitamente, ma un normale videogioco da acquistare a prezzo pieno.
Ma come mai tanto successo? Il primo motivo sta nel bilanciamento perfetto del gameplay, un vero marchio di fabbrica di casa Blizzard: Overwatch è un gioco semplice nell’impianto, ma incredibilmente difficile da giocare ad alti livelli. I comandi da memorizzare sono pochi, ogni eroe giocabile ha le sue abilità peculiari e il successo si basa quasi sempre sul gioco di squadra. Questo vuol dire che lo stesso identico prodotto riesce a soddisfare i giocatori casuali, quelli che si fanno una partitella ogni tanto, così come i professionisti. Non è infatti un caso che Overwatch sia diventato quasi subito uno dei videogiochi di punta della scena mondiale degli eSports.
Il punto di forza di Overwatch però sta anche nel carisma che trasuda da ogni poligono. La direzione artistica del gioco è una delle migliori mai viste, con una cura maniacale per i dettagli che rasenta l’ossessività. Tanto che quando, anni fa, Blizzard aveva diffuso il primissimo trailer (che non mostrava segmenti di gioco) tutti avevano pensato la stessa cosa: “E’ così bello che sembra un film della Pixar”. Per rendersene conto oggi basta guardare ai 24 eroi giocabili, tutti dotati di una propria storia e un proprio carattere, accompagnati da un lavoro di doppiaggio che sembra davvero portarli in vita sullo schermo.
E poi, ultimo ma non per questo il meno importante, c’è l’elemento chiave dell’inclusività. Con Overwatch Blizzard ha voluto infatti realizzare qualcosa che potesse parlare a tutti. E non solo in termini di giocatori meno o più esperti. Ma anche in termini di identità. Non è quindi un caso che i 24 eroi giocabili provengano dai quattro angoli del mondo, con colori della pelle diversi e, come è normale che sia, identità sessuali diverse. Includere un’eroina omosessuale o un personaggio con origini nativo-americane non è però una mossa furba per stare al passo coi tempi, una strizzatina d’occhio al politically correct che maldestramente contagia tutte le industrie dell’intrattenimento. Ma un modo semplice e diretto per dire che dentro Overwatch c’è posto per tutti, anche per te. Chiunque tu sia. Un messaggio semplice, che in questo primo anno di vita sembra aver convinto almeno 30 milioni di persone. Ad maiora, Overwatch.