di Dario Marchetti
Ci sono casi in cui vedi il primo trailer di un videogioco e pensi, mah, sarà la solita giapponesata fuori di testa, una roba talmente di nicchia da risultare ingiocabile se non per una ristretta cerchia di eletti. O almeno così mi è successo con Astral Chain, che nelle primissime immagini si presentava sì con l’ottimo pedigree di un’esclusiva Switch targata Platinum Games ma senza fornire molte garanzie in merito al resto. Poi, una volta messe le mani sul gioco, la magia. Ma andiamo per ordine.
Nell’anno 2078 l’umanità è sull’orlo dell’estinzione, e tutti i sopravvissuti vivono nell’Arca, una megalopoli costruita su un’isola artificiale. E fin qui niente di nuovo. La colpa è tutta dei Chimera, mostri alienoidi in arrivo da una dimensione parallela, capaci di aprire portali verso il nostro mondo e infettare gli umani con un virus malevolo. Ma se non puoi batterli, unisciti a loro, dice la saggezza popolare. O meglio, uniscili a te. L’ultima arma dell’umanità sono infatti i Legion, cioè Chimera addomesticati per mezzo della Astral Chain, una magica catena bluastra, e da essa legati agli agenti della Neuron (nomen omen!), gruppo d’elite dedicato alla lotta contro gli invasori.
Tutto abbastanza già visto, se non fosse che i Platinum non sono certo diventati quello che sono restando all’interno dei soliti schemi. Se in un action game tradizionale controlleremmo infatti solo il nostro personaggio, magari con un mix di attacchi corpo a corpo e armi da fuoco, schivate, capriole e così via, qui il piatto si fa ancora più ricco, perché a darci manforte c’è il nostro Legion: una volta “evocato” con la pressione di un grilletto, l’alleato astrale può essere scagliato contro i nemici, che inizierà a combattere di sua sponte. Oppure posizionato direttamente da noi per far scattare devastanti attacchi in tandem, utili sia per danneggiare i nemici che per privarli di difese insormontabili come armature e scudi energetici.
Non solo. I Legion, e parliamo al plurale perché se ne potranno sbloccare un bel po’, hanno poteri utilizzabili anche fuori dal combattimento, magari per raggiungere piattaforme distanti oppure eliminare ostacoli pesanti. Il che ci porta a un aspetto a dir poco fondamentale di Astral Chain, ovvero la scelta coraggiosa di non concentrarsi ossessivamente sulle mazzate. In quanto poliziotti, infatti, ci toccherà risolvere un caso dopo l’altro, spesso raccogliendo indizi e testimonianze, per poi mettere insieme i pezzi del puzzle e individuare il prossimo luogo da raggiungere. Nulla che richieda intuito alla Sherlock, sia chiaro, ma un piacevole diversivo da altri giochi action nei quali l’azione è praticamente incessante. Risultando così, almeno per giocatori come me, facilmente ripetitiva.
Astral Chain, insomma, non si prende troppo sul serio, come da nipponica tradizione. Ho molto apprezzato l’opzione che permette di giocare senza subire le classiche (e severe) valutazioni di fine missione, dove spesso viene assegnato un voto stile interrogazione scolastica. E grazie al comparto grafico, complici una direzione artistica azzeccatissima e il character design di Masakazu Katsura (quello di Video Girl Ai e Zetman, mica pizza e fichi), lo Switch spremuto fino all’ultima goccia di hardware riesce a farci sentire come dentro un vero e proprio anime. Insomma titoli del genere, insieme ad altri come Demon x Machina, confermano che la console ibrida di Nintendo può e deve ospitare esclusive di grandissimo peso, anche di terze parti. E forse, visti gli ottimi risultati arrivati da terra nipponica, è il caso che a rendersene conto siano anche i grossi sviluppatori d’occidente.