di Dario Marchetti
Void Bastards
Qualcuno l’ha chiamato “System Shock a fumetti”, una definizione comunque azzeccata perché alcuni sviluppatori hanno lavorato proprio a System Shock 2 (e Bioshock). Void Bastards però è molto di più. Certo, lo stile grafico, che a me ricorda un Mike Mignola in versione sci-fi, è una gioia per gli occhi, con nemici dal design allucinatorio che sembrano mescolare suggestioni tra Philip K. Dick e William Burroughs. Ma è solo l’antipasto di un titolo curato nei minimi dettagli, con l’obiettivo di far desistere da subito i giocatori più impazienti. Saltando di nave in nave, l’obiettivo è ottenere oggetti utili al proseguimento della nostra odissea spaziale. La scelta del percorso sarà nostra, ma ogni navicella visitabile offrirà oneri e onori, pericoli e bottini, accompagnati da condizioni casuali che potrebbero distruggerci così come aiutarci, come un blackout in grado di disattivare tutte le torrette automatiche di difesa e salvarci (in parte) la pellaccia. E se si muore, pazienza: tutti gli upgrade ottenuti rimangono lì e si riparte con un nuovo personaggio, anche quello coi suoi pro e contro generati in modalità random. Attenzione solo a non trattarlo come un FPS: la visuale è quella, ma sotto il cofano Void Bastards ragiona come un gioco di ruolo in piena regola.
Bloodstained: Ritual of the Night
Il padre putativo di una celebre serie lascia la casa di sviluppo proprietaria di quel franchise e poi raccoglie fondi su internet per fare un “successore spirituale”, ovvero una copia carbone ma cambiata quel che basta per sfuggire al copyright. E’ successo con Keiji Inafune, che ha partorito il rovinoso Mighty N.9. Ed è successo con Koji Igarashi, che dopo aver regnato imperituro sui regni di Castlevania ha plasmato Bloodstained: Ritual of the Night, un titolo sul quale per lungo tempo, e fino a non molto prima dell’uscita, ci sono stati dubbi e scetticismi vari. Tutti fortunatamente dissolti all’uscita, visto che Bloodstained si è rivelato un barile di ferro. Certo, le similitudini con Castlevania, e in particolare Symphony of the Night, sono dichiarate e innegabili, con citazioni lapalissiane sparse praticamente ovunque. Ma al classico sistema di gioco in stile Metroidvania, Igarashi ha fatto piccole aggiunte sorprendenti che riescono a svecchiare la formula: la protagonista è in grado di assorbire i poteri dei nemici sconfitti, riutilizzandoli a proprio vantaggio. E dunque oltre all’arma prescelta avremo a disposizione magie e buff potenziabili, in grado di salvarci la pellaccia anche nei momenti peggiori. E poi una curiosa dinamica legata al cibo: raccogliere gli ingredienti e cucinare sarà fondamentale, visto che a ogni nuovo piatto assaggiato avremo un upgrade permanente a qualche caratteristica. Adda passà a nuttata, diceva De Filippo. Certo, le notti di Bloodstained (come quelle di Castlevania) sono virtualmente infinite, ma per noi il test è stato passato a pieni voti.
Sea of Solitude
Con la linea Originals, da qualche tempo Electronic Arts sta investendo sugli indie, con risultati fin’ora soddisfacenti vista l’accoglienza riservata ai due Unravel, a Fe e Way Out. Il migliore però è l’ultimo arrivato, Sea of Solitude, un gioco-non-gioco che si carica sulle spalle un peso non indifferente, quello di trasmettere le cicatrici di chi ha affrontato solitudine e depressione. Ci riesce? La risposta non può che essere soggettiva, perché dipende anche da quanto sarà ricettivo il giocatore che sta per imbracciare il controller. Da parte nostra possiamo solo dire che nonostante lo stile grafico “soft”, Sea of Solitude non scherza con le emozioni, alternando momenti di apparente pace ritrovata ad altri di buio profondo, esplosioni di colore che lasciano posto al grigiore, un mare che salva riportandoci a riva ma anche foriero di terribili mostri del passato. Di “gioco” in termini di sfida c’è poco, ma in questi casi a contare più di altra cosa non è la destinazione bensì il viaggio. Titolo da aggiungere obbligatoriamente alla lista da consegnare a chi dice “ma cosa ci farai mai con questi giochini?”.
My Friend Pedro
Amico mio, per assurdo che possa sembrare se c’è una banana parlante che ti invita a fare a fette, anzi a buchi, i tuoi aguzzini, il nostro consiglio è di dargli retta. Anche perché il canovaccio narrativo di My Friend Pedro si esaurisce più o meno qui. Il resto è livello dopo livello di pura azione rocambolesca a colpi di pistola, calci e capriole rigorosamente in slow-motion, o rallentatore che dir si voglia. E ad arrivare a fine livello, più o meno, siam bravi tutti. La difficoltà qui sta nel farlo col massimo dello stile, con la perfezione delle rotazioni a mezz’aria, con la mira in grado di controllare due armi, ognuna puntata su un nemico diverso. Il fattore autoironia è a livelli massimi, ma qualcosa non ci ha convinto fino in fondo: forse i controlli un po’ macchinosi su Switch, forse un flusso di gioco non proprio fluidissimo, fanno di My Friend Pedro un ottimo titolo portatile, ma che non ci ha invogliato a ritentare centinaia di volte lo stesso livello, come nel caso di mostri sacri come Super Meat Boy e il recente, italianissimo, Okunoka.
A Plague Tale: Innocence
Per carità, i videogiochi possono occuparsi di tutto, ma proprio tutto. Solo che alla fine, a conti fatti, nel 99% dei casi sfruttano un po’ sempre le stesse ambientazioni e situazioni, vedere alla voce guerre mondiali e post-apocalisse. Per questo a qualcuno sembrerà assurdo un videogioco ambientato nel 1300, ai tempi della peste nera. E nel quale il principale nemico sono quei maledettissimi ratti. Vagonate di ratti, a perdita d’occhio. Facezie a parte, A Plague Tale: Innocence racconta la storia di due fratelli nella Francia del basso medioevo, in fuga dalla peste ma anche dalla guerra e dall’inquisizione. Gli sviluppatori hanno centrato in pieno un’ambientazione grigia, gotica, dark ma con qualche tocco di realismo magico che riesce a dargli quel pizzico di sapore in più, senza sfociare nella baraonda del fantasy. Capitolo dopo capitolo, la storia di Amicia e Hugo ti entra nel cuore e nella testa, accompagnata da un gameplay mai troppo impegnativo diviso tra fasi più improntate allo stealth e altre dedicate ai famigerati ratti, da contrastare e controllare grazie al sapiente uso di pozioni alchemiche. E, perché no, ogni tanto anche qualche boss fight. Tutto il resto è un ritratto mai banale di quegli anni bui, in grado di tenere a mente la storia ma di prendersi anche le giuste libertà. Dategli una chance, non ve ne pentirete.