di Dario Marchetti
Nell’epoca delle grandi (e interminabili) saghe videoludiche, lanciare una nuova serie è un’operazione molto rischiosa. Ma farlo mettendo al centro di tutto una donna, in un periodo dominato da maschi carichi di muscoli e dallo sguardo costantemente corrucciato, è un vero atto rivoluzionario. Un colpo grosso che è riuscito a Horizon Zero Dawn, nuovo videogioco appena uscito in esclusiva su Playstation 4 e sviluppato dallo studio Guerrilla Games, già famoso per gli sparatutto della saga Killzone.
Il mondo senza di noi
Horizon prende il via in un futuro remoto e post-apocalittico nel quale la natura ha ormai reclamato il proprio dominio sulla Terra, popolata da giganteschi animali meccanici che costringono gli umani, riuniti in tribù, a vivere nel terrore e nell’isolamento. A differenza di tanti altri libri, film, fumetti e videogiochi, il primo successo del gioco di Guerrilla sta nel dipingere un mondo sì segnato dall’apocalisse, ma in armonia con se stesso: niente zone radioattive, epidemie o invasioni di zombie. La Terra di Horizon Zero Dawn, come racconta Jaime D’Alessandro su Repubblica, è la stessa immaginata dieci anni fa dall’autore Alan Weisman nel suo Il mondo senza di noi. Una Terra verde e rigogliosa, sulla quale noi umani siamo ospiti indesiderati di un ecosistema ormai in perfetto equilibrio.
La ragazza dai capelli rossi
Al centro di tutta la storia c’è Aloy, una giovane ragazza dai capelli rossi costretta a vivere in esilio poiché senza una madre. Guerrilla Games è riuscita nella difficilissima impresa di creare un personaggio femminile non definito dai soliti stereotipi, come l’essere madre, sposa oppure terribilmente sexy, alla Lara Croft. Come ha scritto Matteo Bordone su Internazionale: “Aloy è protagonista di un mito classico. Solo che in questo caso non si tratta di Mosè, Paride o Romolo e Remo, ma di una bambina. E non è una differenza da poco”. E infatti bastano davvero poche ore per affezionarsi a questa ragazza eroica, che, c’è da scommetterci, ha già fatto segnare un nuovo standard su come, in qualsiasi genere videoludico, si possano e si debbano scrivere personaggi che vivano di vita propria. E non più solo stereotipi ambulanti, maschi o femmine che siano.
Puzzle ambulanti
A prima vista, un po’ per l’ambientazione, un po’ per alcune meccaniche, viene facile etichettare Horizon Zero Dawn come un minestrone di altri giochi, in particolare alcuni pubblicati da Ubisoft come Assassin’s Creed e Far Cry Primal. Ma superato l’impatto iniziale ci si rende subito conto che gli sviluppatori si sono sì ispirati a certi titoli, ma senza mai scadere nel citazionismo o, peggio, nel plagio. Piuttosto gli uomini di Guerrilla hanno preso il meglio che c’era in circolazione, aggiunto alcuni ingredienti segreti e dato una bella shakerata: il risultato è un titolo dove tutto sembra fresco e inedito, anche quando non lo è. Un discorso a parte poi lo merita il sistema di combattimento, quello che tra archi, fionde e trappole ci consentirà di affrontare gli animali meccanici del mondo di Horizon. Tra punti deboli nascosti, abilità speciali e attacchi imprevedibili, ogni bestia robotica incontrata da Aloy, dai piccoli Watcher fino al Thunderjaw, l’equivalente meccanico di un T-Rex, ognuno di questi nemici è in realtà un puzzle in movimento, un cubo di Rubik da risolvere pezzo dopo pezzo, freccia dopo freccia, schivata dopo schivata, fino alla vittoria del cacciatore sulla preda. E se ci aggiungiamo che il motore grafico (lo stesso che Hideo Kojima per il suo prossimo Death Stranding) spreme al massimo la potenza della PS4, Horizon Zero Dawn risulta a tutti gli effetti uno degli esordi più sorprendenti degli ultimi dieci anni. E noi già non vediamo l’ora di poter mettere le mani sul prossimo episodio. Avanti così, Aloy.