Minit, fuori in sessanta secondi

di Dario Marchetti

L’evoluzione dei videogiochi è sempre stata prima di tutto un’evoluzione tecnica, con il comparto grafico, via via sempre più fotorealistico, a fare da indicatore dello stato dell’arte. Ma c’è una seconda traccia di lettura, una strada parallela, che ha a che fare con le possibilità e gli espedienti narrativi del mezzo. Una traccia ri-scoperta in tempi recenti grazie all’ondata dei cosiddetti “indie”, un termine ormai abusato, che con il ritorno alla semplicità degli 8 e 16 bit ci ha, volenti o nolenti, riportato ai minimi termini del mezzo. E visto che gli stenti aguzzano l’ingegno, spesso proprio da questo mondo sono spuntate fuori idee geniali.

Come nel caso di Minit, un gioco che idealmente mescola i vecchi Zelda con il giorno della marmotta, anzi, il minuto della marmotta. Visto che, come lascia intendere il titolo, ogni 60 secondi la partita ricomincia daccapo, sfidando noi giocatori a completare il prossimo pezzo di puzzle prima che il tempo scada. Il tutto accade a causa di una spada maledetta raccolta su una spiaggia da un nostro avatar, un evento ridicolo ma che ben si adegua alle bizzarie del mondo di gioco, zeppo di personaggi assurdi e situazioni surreali.

Ma come si fa a finire un gioco in appena 60 secondi? Il trucco sta nel fatto che a ogni nuovo inizio, le azioni portate a termine nella “vita” precedente rimangono valide. Quindi un albero tagliato o una porta sbloccata rimarranno tali per sempre. Il resto è un turbinio di scambi di oggetti, enigmi da risolvere e dialoghi da divorare al volo. Non siamo certo di fronte a un titolone da 60 ore, anzi. Qui tutto, durata compresa, è ridotto all’osso ma allo stesso tempo ogni dettaglio è curato oltre l’inverosimile. Perché in fondo per raccontare una storia non servono gli effetti speciali, ma bastano pochi pixel, due colori e una montagna di passione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *