Wolfenstein: Youngblood, sorelle rivoltelle

di Dario Marchetti

A Wolfenstein non bastava essere il papà degli sparatutto, progenitore di Doom e di tutti i suoi fratelli passati, presenti e futuri. Oggi, e per oggi intendiamo dal 2014 in poi, in mano agli svedesi di Machine Games questa saga è diventata un pot-pourri di mazzate, proiettili, prese di posizione politiche e ucronie che, ironia della sorte, appaiono terribilmente attuali. Col trittico formato da The New Order, The Old Blood e The New Colossus sembra essersi (almeno per il momento) interrotta la parabola narrativa di B.J. Blazkowicz, il mascellone palestrato e armato fino ai denti che dal ‘92 è lo spauracchio di tutti i nazisti poligonali. Ma quello di Wolfenstein è un paese per giovani, altroché, e allora spazio a nuova linfe vitali, nome in codice Youngblood.

Sangue giovane, cioè quello di Jessica e Sophia, figlie di un Blazko ormai brizzolato che dopo aver liberato gli Stati Uniti dai nazisti sembra essere fuggito verso la Francia, ancora sotto il controllo del Reich. Ma buon sangue non mente (e coi giochi di parole ci fermiamo qui), ed ecco che allora Jess e Soph partono alla volta della Tour Eiffel alla ricerca di papà. Fin qui tutto normale, se non fosse che Youngblood è uno spin-off, e in quanto tale si distingue per essere un gioco pensato per l’azione cooperativa. Nei panni di una o dell’altra giovane guerriera, l’obiettivo rimane quello di far fuori i nazisti in maniere più o meno creative, più o meno furtive, più o meno caotiche.

Stavolta a farlo però si è in due. Certo, Youngblood si può giocare anche in solitaria, con il computer che si occuperà di gestire l’altra sorellona, ma il vero divertimento scatta quando si gioca con un amico. Le dinamiche di collaborazione si concretizzano nella possibilità di resuscitare una sorella caduta sotto il fuoco nemico, di attivare buff temporanei, di risolvere certi puzzle in sincro ma anche, più banalmente, di attivare strategie e sinergie per tirare giù al meglio i nemici più ostici. Youngblood introduce infatti il concetto di “armatura” anche per i cattivi, con nemici dotati di diversi tipi di protezioni che andranno distrutte col giusto tipo di armi e/o munizioni. Il tutto in aggiunta a un sistema di punti esperienza, abilità da sbloccare e un livello da far crescere: più ampia sarà la differenza tra il nostro e quello dei nemici, più sarà tosto (se non impossibile) affrontarli a dovere.Il DNA di Youngblood è palesemente lo stesso dei predecessori, senza dubbio accompagnato da un’atmosfera più leggera, vista la giovane età delle protagoniste, che però non abbandona le battute dissacranti e sopra le righe che hanno fatto, in parte, la fortuna della saga. Un gioco che non fa urlare al capolavoro, ma che offre una decina di ore di spensierato divertimento in attesa di un nuovo capitolo principale. Chi vorrà proseguire oltre il termine della storia troverà un piccolo endgame con missioni da ripetere per accumulare altra esperienza, denaro e materiali, così da potenziarsi ulteriormente. Ed unico vero neo è proprio questa dimensione di “grinding”, cioè di ripetizione atta al potenziamento, che sarebbe a casa in un MMO ma che, secondo noi, snatura un po’ la formula diretta e immediata propria del franchise. Youngblood è comunque un titolo mid-budget, con un prezzo di 29 euro. Niente male se poi si considera che con l’edizione deluxe (30 euro) è incluso anche il buddy pass, che permette di giocare insieme a un qualsiasi amico che non ha acquistato il gioco. Come a dire che stavolta è meglio male accompagnati, che soli.

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