di Dario Marchetti
Ci avevano detto che lì fuori il mondo era terribilmente silenzioso, che le bombe avevano cancellato tutto, che rimanere nascosti nel sottosuolo era l’unica possibilità di sopravvivenza. E invece c’è vita al di fuori di Mosca. E chissà, che in qualche luogo della madre patria non contaminato ci sia anche una nuova casa. Ecco: dopo due capitoli dominati dalla claustrofobia e dal buio dei cunicoli sotterranei, la serie Metro riparte da Exodus. Un titolo che è anche un dato di fatto, visto che per la prima volta gli sviluppatori della saga ci portano lontano dalla Mosca nuclearizzata e verso orizzonti sconosciuti, in cerca di un secondo inizio.
La miccia che fa esplodere la trama è la scoperta da parte del protagonista di un sistema radio per schermare la capitale, impedendo ogni comunicazione in ingresso e in uscita. Il silenzio, insomma, era una bugia. E forse non tutto è perduto. Ecco allora che a bordo di un treno e in compagnia dei già riuscitissimi personaggi dei precedenti titoli, ci troveremo lanciati a tutta velocità sui binari della scoperta, in un viaggio on the road dal sapore post-nucleare. Dalle rive del Volga a quelle ormai in secca del Mar Caspio, passando per gli Urali, Exodus riesce a raccontarci un’apocalisse diversa, popolata sì da creature mostruose ma anche da tanti umani sopravvissuti. Che spesso, tra cannibalismo, fanatismo e altre espressioni di follia si dimostrano ben più terrificanti degli abomini viventi creati dall’atomica. Allo stesso tempo però si mantiene viva la speranza, il pensiero che forse, anche in mezzo a questo caos, e con i giusti mezzi, si possa ripartire da zero. Non sempre, e lo scoprirete giocando, sparare a prima vista sarà infatti la soluzione più intelligente.
Nei nuovi spazi aperti, grandi mappe che visiteremo una dopo l’altra come fermate immaginarie del nostro viaggio, il gameplay di Exodus rimane grossomodo quello dei predecessori. L’impianto è quello di uno sparatutto, inserito però in una cornice di moderato realismo. Qualche esempio? L’interfaccia utente è ridotta al minimo, e per orientarci quasi sempre dovremo fare affidamento a una bussola e a una mappa cartacea. E le armi, i cui proiettili scarseggiano, andranno regolarmente modificate, riparate e pulite, pena il rischio di incepparsi proprio sul più bello. E ancora, nelle aree più a rischio bisognerà indossare la maschera antigas, alla quale sostituire il filtro per l’aria e il cui vetro andrà pulito, con l’ausilio della mano, da pioggia, neve e polvere. Anche perché in caso di scontro coi nemici potrebbe bucarsi, costringendoci a un rattoppo d’emergenza col nastro adesivo in attesa di una riparazione come si deve.
Ma in mezzo a tutto questo sparare per sopravvivere, i momenti più belli di Exodus sono forse quelli di calma assoluta, potremmo dire quasi di noia. Tra una missione e l’altra il gioco offre qui e lì azioni che ai giocatori più frettolosi sembreranno inutili e che invece nascondono piccole grandi gemme narrative. Come il fumare una sigaretta insieme a uno dei nostri compagni dopo aver raggiunto l’ennesimo obiettivo, oppure impegnarsi in un duetto musicale con una chitarra salvata dalle macerie. Il tutto accompagnato da dialoghi, storie, espressioni che danno a Exodus una grande marcia in più, elevandolo da buon titolo a grande esperienza videoludica a 360 gradi.