Devil May Cry 5, quando lo stile è sostanza

di Dario Marchetti

Credo di avere una terribile allergia nei confronti dei voti, numerici o meno che siano. Quando un gioco si ostina a quantificare con lettere e numeri la mia performance, al pari di un professore dietro la cattedra, c’è un pezzetto del mio io videoludico che se ne va. Eppure, qualche volta, spuntano fuori giochi talmente strabordanti di personalità e resistenti al tarlo del politically correct, che anche affibbiando voti a destra e a manca riescono a farsi volere un bene dell’anima. Anzi, di più. Riescono a farti indemoniare, come Devil May Cry 5.

Se dal 2001 a oggi avete vissuto sotto un sasso, vi basti sapere questo: il protagonista della saga è Dante, mezzo umano e mezzo demone, ammantato in un cappottone di pelle rossa e armato di spada e pistole. Sbarca il lunario ammazzando demoni di ogni genere e sorta, in cambio ovviamente di un bel gruzzolo. Ma non disperate: DMC5 ci mette a disposizione un bel video che fa il riassunto della storia fino ad oggi, e già per questo ci risulta parecchio simpatico. A questo giro però i personaggi sono tre: c’è Dante, e l’abbiamo già detto, c’è Nero, un mini-Dante in versione giovinotto e V, misterioso combattente dai tratti emo/goth.

DMC5 aveva sulle spalle delle tremende aspettative, dopo che il reboot firmato da Ninja Theory (quindi in Regno Unito anziché in Giappone) non aveva raggiunto i risultati sperati. Aspettative tutte raggiunte e, anzi, superate. Gli elementi tradizionali ci sono tutti: demoni da falciare, a spadate o fucilate, combo da inanellare coi giusti comandi, abilità speciali e così via. Solo che stavolta Capcom ha praticamente realizzato tre giochi in uno, perché ogni personaggio giocabile ha un combat system tutto suo. Quello di Dante è un richiamo ai titoli precedenti, con la possibilità di assumere quattro stili diversi a seconda della situazione o delle preferenze del giocatore; quello di Nero si basa sui Devil Breakers, braccia meccaniche dotate di poteri in grado di cambiare l’esito di una battaglia (ma anche molto fragili); mentre quello di V, forse il più innovativo e duro da padroneggiare, punta sull’evocazione di due demoni, un gigantesco volatile e una pantera, che combatteranno al posto nostro, lasciandoci poi il compito di infliggere il colpo di grazia. Il tutto, a patto di non rompersi le corna sulle difficoltà più alte, a portata anche dei giocatori meno tecnici.

Garantisco io.

Ma non sarebbe Devil May Cry se qualcuno, anche solo per un piccolissimo istante, si prendesse sul serio. Tutto è volutamente esagerato, così sopra le righe e a tratti così goffo da fare il giro e diventare brillante. A partire dalle mille battutine sparse qui e là negli scambi tra personaggi, all’assurdità di alcune armi come un cappello da cowboy magico o una motocicletta dalle ruote seghettate (non stiamo scherzando) in grado di fare a fette anche i demoni più coriacei. Forse una delle scene più emblematiche è quella di Dante che, nel bel mezzo di una fortezza demoniaca, per fare sfoggio del suddetto cappello improvvisa un ballo alla Michael Jackson. Ecco, Devil May Cry è così. Non è stile che supera la sostanza, qui lo stile E’ la sostanza.

Dicevamo della mia allergia ai giudizi. Ecco, DMC5 fornisce voti a ogni combattimento e poi anche a fine missione. Il bello però è che, a meno che non vi freghi di competere in qualche classifica mondiale, potrete tranquillamente fregarvene. Perché questo quinto capitolo ha anche una bella storia, raccontata con continui flashback e flash forward, saltando in continuazione dalla prospettiva di un personaggio all’altro, spesso separati dagli eventi della trama e riuniti davvero solo verso il finale. Una trovata che rende il tutto appassionante e che darà soddisfazione anche ai fan di vecchia data, ansiosi di ricevere risposte su questo o quel mistero ancora irrisolto. Last, but not, least: comparto audio che ama vincere facile, con una colonna sonora heavy metal a più non posso, e comparto grafico che scorre veloce come un fulmine, senza perdere un colpo (noi lo abbiamo provato su PS4 Pro), accompagnato da una direzione artistica eccellente e animazioni facciali da urlo. Furba anche la scelta di realizzare le fattezze dei personaggi sulla base di modelli che assomigliano ad attori molto in voga: nel volto di Nero ci ho visto più di un tratto rubato a Matt Smith (l’undicesimo Dr. Who, ma anche The Crown) mentre V evoca espressioni alla Adam Driver (tra i tanti, Kylo Ren nell’ultima trilogia di Star Wars). Insomma, applausi per Capcom che dopo un periodo così così ha dimostrato di avere ancora molte cartucce da sparare (vedere alla voci: Monster Hunter World, Resident Evil 7, remake di Resident Evil 2).

 

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