di Dario Marchetti

Credo di avere una terribile allergia nei confronti dei voti, numerici o meno che siano. Quando un gioco si ostina a quantificare con lettere e numeri la mia performance, al pari di un professore dietro la cattedra, c’è un pezzetto del mio io videoludico che se ne va. Eppure, qualche volta, spuntano fuori giochi talmente strabordanti di personalità e resistenti al tarlo del politically correct, che anche affibbiando voti a destra e a manca riescono a farsi volere un bene dell’anima. Anzi, di più. Riescono a farti indemoniare, come Devil May Cry 5.
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