Onimusha: Warlords, rimasterizza il Giappone e poi muori

di Dario Marchetti

Il Giappone feudale è tornato di moda. O forse lo è stato da sempre. Tra il recente Ni-Oh di Team Ninja, e i prossimi Sekiro: Shadows Die Twice (dagli autori di Dark Souls) e Ghost of Tsushima, la carne al fuoco è tanta. Ma nella memoria di molti videogiocatori uno dei primi contatti con questo mondo è arrivato nel 2001 con Onimusha: Warlords, quando Capcom ancora si divertiva (e con successo) a creare nuovi franchise. E del quale, guarda un po’, è appena arrivata una versione rimasterizzata per Switch, Playstation 4 e Xbox One.

Japanese Evil
Ma perché rimettere le mani su un titolo vecchio di quasi vent’anni? Onimusha rappresenta il tentativo di trasporre i meccanismi di Resident Evil in un’ambientazione nipponica al 100%. Tanto che all’inizio sarebbe dovuto essere un vero e proprio spin-off della serie horror. Qualcosa nello sviluppo andò storto, e il team fu costretto a ricominciare da capo ma su una nuova console, la Playstation 2. Onimusha però non ha perso quel suo DNA, che si manifesta prima di tutto nelle telecamere dagli angoli fissi, nei controlli “tank” che rendono più difficoltoso il movimento e negli enigmi in pieno stile Capcom, mutuati proprio dai suoi cugini survival horror. Allo stesso tempo però se ne distanzia, perché scompaiono le armi da fuoco, la gestione delle munizioni, le limitazioni nel salvataggio della partita, e arriva un sistema di combattimento all’arma bianca ben più dinamico, con poteri magici da scagliare contro i demoni nemici e anime da assorbire per potenziarsi e curarsi, qualcosa che ricorda il più recente Dark Souls ma anche un certo Soul Reaver.

C’è del marcio in Giappone
La storia di Onimusha è immediata nella sua semplicità, con tratti che virano sull’assurdo e, in certi momenti, nell’involontariamente comico. Vi basti sapere che il protagonista è Samanosuke, samurai intento a salvare la principessa Yuki dalle mani del signore della guerra Nobunaga Oda (personaggio realmente esistito), che nella fantasia degli autori ha stretto un patto coi demoni per conquistare il mondo. Il tutto con uno stile che mescola il Giappone classico, con pagode, stendardi e quant’altro, a un horror quasi lovecraftiano, con creature che sembrano disegnate da Giger e ambientazioni sotterranee che, come dicevamo, potrebbero benissimo provenire dalla villa di Resident Evil. Insomma un bel mix che altri giochi, nemmeno i sequel, sono riusciti a raggiungere.

Remas-che?
Quando si parla di “remaster” c’è sempre da andare coi piedi di piombo. E dunque diciamo chiaramente che Capcom ha fatto poco più che un compitino. Sì, qualche elemento è stato aggiornato, “liftato”, per non sfigurare troppo sulle console (e sugli schermi) di oggi, ma gli sfondi pre-renderizzati sono sgranati come all’epoca, seppur con il beneficio dei 16:9 e dunque di una visuale allargata. Stesso discorso per i modelli poligonali, un po’ addolciti nelle spigolature ma non certo ricreati ad hoc per l’occasione. Il gioco guadagna anche controlli migliori con lo stick analogico, che ci libera dalla pesantezza dei controlli “tank” (comunque ancora disponibili) ma che al contempo rende tutto un po’ troppo facile. Non è un caso che l’analogico, già disponibile all’epoca, fosse stato escluso dagli sviluppatori per dare forza a un gameplay più ostico ma anche più tattico, quasi scacchistico, ai combattimenti all’arma bianca. Viene da chiedersi perché, per quest’occasione, non sia stata rimasterizzata la versione “Genma” che uscì successivamente su Xbox. In generale, però, non si tratta di lati che rovinano in alcun modo l’esperienza e che, forse, ai più nostalgici faranno anche piacere, visto che non stravolgono i bei tempi che furono. In ogni caso, col prezzo budget a cui viene proposto (19,99 € in digitale), rimettere mano a Onimusha è un gran bel modo per fare un tuffo nel passato e chiedere, a gran voce, che Capcom riprenda lo svilupppo di un nuovo capitolo.

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