di Dario Marchetti
Forse sono l’eccezione che conferma la regola, ma in quanto schiappa colossale io nei picchiaduro mi sono sempre concentrato sui personaggi e le loro storie. Convinto che oltre a un sistema di combattimento fatto a modo servisse anche un motivo più o meno credibile che spingesse dozzine di personaggi a darsele di santissima ragione. E allora ecco che tra un Mortal Kombat e l’altro mi chiedevo perché e per come ci fossero un Sub-Zero smascherato e uno mascherato. Oppure il perché, gioco dopo gioco, Yoshimitsu di Tekken cambiasse costantemente aspetto, passando dall’aspetto di un ninja a quello di un alieno insettoide. Alcune di queste domande hanno trovato risposta, altre no. La mia fissazione per le storie però è rimasta la stessa.
Per questo non ho potuto che salutare con grande favore l’arrivo di Soul Calibur VI, settimo capitolo di una saga storica (nel vero senso della parola), un racconto di anima e spada, ripetuto in eterno (cit.). Non solo perché si tratta di un soft reboot, un episodio fortemente narrativo che va a ripercorrere ed espandere le vicende del primo Soul Calibur, capostipite dei picchiaduro che ai pugni preferiscono l’arma bianca. Ma perchè la componente single player è quantomai al centro di tutto. Attorno alle due spade sacre, la malvagia Soul Edge e la benevola Soul Calibur, si dipanano i destini di decine di combattenti e dell’intero pianeta. E proprio sulla sincronia punta Soul Chronicle, la principale modalità storia, che dispone i personaggi come segmenti di una gigantesca griglia temporale, ognuno con il suo ruolo e le sue responsabilità in questo grande affresco. Un espediente che permette a noi giocatori di entrare nei panni di ogni lottatore e mettere insieme i pezzi del puzzle, alternando fasi di combattimento a dialoghi, purtroppo rappresentati solo da immagini animate su sfondi più o meno statici, corredati fortunatamente dalle voci dei personaggi.
Ed è dedicata al giocatore singolo anche Libra of Soul, un’avventura con tanto di mappa su cui muoversi da affrontare con un personaggio di propria creazione, partorito attraverso lo spettacolare editor a disposizione. Non manca ovviamente tutta la componente online, che piacerà soprattutto ai giocatori duri e puri, in cerca di duri da sconfiggere a mezzo internet. E proprio in quanto non duro e puro evito di esprimermi sul gameplay in maniera approfondita, limitandomi a dire che Soul Calibur VI risulta approcciabile anche a uno come me, che mi annodo le dita per fare anche l’hadouken su Street Fighter. Per il resto SC si conferma il picchiaduro con le atmosfere più ricche, grazie a personaggi ormai epici nel design e nella personalità (Voldo, Nightmare, Cervantes e così via), affiancati dall’ospite d’onore Geralt di Rivia, protagonista della serie The Witcher. Insomma, anche a voler ignorare la componente online, la carne al fuoco stavolta è davvero tantissima. Il che basta a ripagare pienamente sette anni di religiosa attesa.