di Dario Marchetti
Di questa saga ho sempre adorato il titolo, un titolo semplice e immediato ma che si presta a molte letture. Just Cause nel senso di “giusta causa”, di qualcosa per cui vale la pena combattere. Oppure Just Cause (letteralmente “solo perché”), nel senso di qualcosa che viene fatto senza motivo preciso, anzi, solo per il puro gusto di farlo. E a livello “sonoro” potremmo anche tramutarlo in Just Chaos, “nient’altro che caos”, quello che ormai da quattro episodi il protagonista Rico Rodriguez va seminando per mezzo mondo, rovesciando regimi dittatoriali a colpi di lanciarazzi.
Da subito questa saga è stata amata per il suo carattere irriverente, le mappe enormi, la libertà di movimento, tra veicoli, paracaduti e tute alari, e la tendenza di edifici e nemici a saltare in mille pezzi quando colpiti coi giusti mezzi. In Just Cause 4 nulla di tutto ciò è cambiato. La differenza è che stavolta la vicenda è molto più personale del solito, perché di mezzo c’è il padre di Rico, l’esercito di mercenari privati più potente al mondo e un macchinario diabolico in grado di governare e trasformare in arma le forze degli eventi metereologici. Anche stavolta, nello stato sudamericano (di fantasia) di Solìs Rico troverà un cattivone da sconfiggere, aiutato da un gruppo di guerriglieri formato da abitanti stanchi dei soprusi.
Just Cause 4 non fa nulla di particolarmente nuovo, ma in sostanza riprende tutto quello che facevano i predecessori e lo fa molto meglio. Che non è mica poco. Gli sviluppatori hanno insistito molto sui cosiddetti “loadout”, cioè configurazioni di equipaggiamenti da cambiare con la pressione di un tasto, a seconda di come, quanto e quando si desidera diffondere il verbo della distruzione. Il rampino di Rico, utilissimo come strumento di movimento e di offesa, si trasforma anche nel gadget tuttofare, un passepartout utile anche ad attaccare palloni aerostatici e retrorazzi a qualsiasi oggetto, trasformando un carroarmato in un oggetto volante non identificato da fare invidia a Mary Poppins. Far esplodere tutto, ma proprio tutto, qui raggiunge un nuovo grado di creatività e idiozia, cortesia anche del nostro italianissimo Francesco Antolini, designer di punta di JC3 e direttore di questo capitolo.
Perché sia chiaro, JC4 non si prende mai sul serio (come già in passato), con una storia che fa il giusto senza mai straripare, per lasciare le luci della ribalta sempre al giocatore, con quella totale libertà d’azione che fa parte del DNA della serie. Insomma, se amate farvi guidare per mano e non avete fantasia, questo gioco non fa per voi. Anche perché con il nuovo elemento del meteo, fra tornado e tempeste, le possibilità di distruzione creativa sono davvero elevate all’ennesima potenza. Per non parlare degli ovvi riferimenti al pietoso stato della situazione climatica sul nostro Pianeta. Su Playstation 4 Pro il gioco fila bene, con un motore grafico chiaramente impegnato più a renderizzare i giganteschi scenari che non i piccoli dettagli, sui quali sarà facile notare qualche grossolana imperfezione. Nulla che abbia reso meno divertente la nostra esperienza, forse perché eravamo troppo impegnati a girare le spalle all’ennesima esplosione oppure a sfrecciare con la tuta alare lungo il pendio di un vulcano spento. Non sappiamo se e come Just Cause 5 riuscirà a dare una svolta vera alla serie, nel frattempo ci accontentiamo di continuare a mettere a ferro e fuoco generazioni di dittatori digitali. E’ per una giusta causa, baby.