di Dario Marchetti
Poco più di otto anni fa, quasi dal nulla sbucò fuori un certo Darksiders, un videogioco che
mescolava combattimenti vagamente alla Devil May Cry e una struttura alla Zelda ma con
una direzione artistica deliziosamente fumettosa, supervisionata dal geniale Joe Madureira.
Il successo fu tale che appena due anni dopo un sequel era già sugli scaffali. E poi il vuoto
cosmico, sei lunghi anni di silenzio che, tra bancarotte del publisher THQ e asset andati
all’asta un po’ ovunque, ci avevano sottratto ogni speranza di vedere un altro videogioco
della serie. Ma a volte la forza di volontà è tale che persino dalle macerie si riesce a
rimettere in piedi un grattacielo. Né è la prova l’epopea di Gunfire Games, che con
Darksiders III ha riesumato, anzi, rianimato, un genere che credevamo ormai estinto.
Il primo capitolo aveva al centro Guerra, cavaliere dell’apocalisse finito in mezzo a un
pasticciaccio brutto tra le forze dell’inferno e del paradiso, il secondo aveva per protagonista
il fratello Morte. Impegnato, parallelamente agli eventi di cui sopra, a scagionare il parente in
armi e ristabilire il suo buon nome. Per il terzo episodio gli sviluppatori hanno scelto ancora
una volta la narrazione sincronica, posando stavolta gli occhi su Furia, unica donna
dell’apocalittico quartetto, una feroce combattente armata di una lingua tagliente almeno
quanto la sua frusta.
Se Darksiders II espandeva la formula del predecessore, dando più importanza
all’equipaggiamento del personaggio e preferendo una struttura più open world, anche
questo terzo capitolo sceglie una filosofia tutta sua. E visto che in questi sei anni di silenzio
stampa sono stati pochi, pochissimi, i titoli non influenzati dal fenomeno Dark Souls, anche
qui ritroviamo alcuni elementi familiari. A partire dal combattimento, dove gli errori si pagano
a caro prezzo e la tattica la fa da padrone, passando dalla struttura della mappa ricca di
scorciatoie da sbloccare e fino ai metodi di cura, praticamente identici alla celeberrima
Fiaschetta Estus di casa From Software, da ricaricare però con le anime dei nemici e non in
qualche falò sperduto. Darksiders III, insomma, non è un titolo nel quale schiacciare bottoni
a caso, pena una sana e robusta dose di frustrazione.
Mentre Guerra e Morte se la vedono brutta, non è che Furia se la passi poi tanto meglio. A
lei è stato affidato il compito di fare piazza pulita dei sette peccati capitali, tornati a invadere
la terra approfittando dell’Apocalisse innescata dal complotto tra angeli e demoni. Sette boss
ben caratterizzati nel design e nelle meccaniche degli scontri, un po’ meno in termini di
background. Ma giocare a fare l’acchiappapeccati non è il solo fulcro dell’avventura, che ruota in realtà attorno alla crescita della protagonista, che da glaciale e insensibile guerriera
mette lentamente in discussione se stessa, preparandosi inconsapevolmente al ruolo che le
forze del destino hanno previsto per lei (e di cui non diremo di più per evitare spoiler!).
Certo Darksiders III non è un gioco dal budget faraonico, e si vede. Perché se Madureira ha
contribuito al design di Furia, le ambientazioni non sono ispirate come in passato, risultando
troppo spesso generiche e slegate tra loro. Il combattimento invece risulta fresco e
acrobatico, più vicino a God of War che Devil May Cry, anche grazie a cinque armi
aggiuntive che consentono di modificare lo stile in base ai propri gusti e che non fanno
sentire la mancanza della “poderosità” dei colpi inferti in passato con Guerra e Morte. La
speranza è che Darksiders III goda della stessa fortuna dei predecessori, anche perché rappresenta il terzo punto di vista di questo stupendo “Rashomon videoludico”. Che se in termini di gameplay rubacchia qui e là qualche ottima idea, a livello di creatività e coerenza interna è ancora tra le migliori cose viste negli ultimi dieci anni in forma di poligoni. E poi visto che non c’è tre senza quattro, confidiamo che Conflitto, quarto membro del gruppo, sia ormai ai blocchi di partenza per raccontarci la sua versione della storia. Speriamo solo che per il
colpo d’inizio lo starter non impieghi altri sei anni.