di Dario Marchetti
In vent’anni di storia videoludica, Lara Croft ha ricoperto molti ruoli. Partita come feticcio digitale, primo vero sex symbol digitale con curve spigolose e attributi d’acciaio, oggi è diventata persona e donna a tutto tondo, avventuriera instancabile ma anche fragile e tormentata da un passato violento. Come ben racconta l’ultima trilogia di titoli, partita col reboot del 2013, proseguita con Rise of the Tomb Raider di due anni fa e giunta ormai a conclusione con Shadow of the Tomb Raider, appena uscito su PC, Playstation 4 e Xbox One.
In termini di gameplay tutto (o quasi) è rimasto uguale a qualche anno fa. E per fortuna, aggiungeremmo noi, vista la solidissima giocabilità messa in piedi dai due prequel. Miss Croft si muove (scalando, nuotando, saltando) ancora in piccole-grandi mappe, ricche di segreti da scovare, animali da cacciare e “tombe” da esplorare e all’interno delle quali risolvere intricati puzzle ambientali. A fare la differenza stavolta è la storia, che prende il via dal Messico e poi si sposta in Perù: Lara è talmente accecata dalla sua missione contro la Trinity, una malvagia setta millenaria, responsabile, tra le altre cose, anche della morte di suo padre, che finisce per mettere in moto la fine del mondo. Ecco, Shadow of the Tomb Raider si distingue dai precedenti perché mette in discussione la sua stessa protagonista, lanciando più di un’ombra sull’efficacia e sulla moralità delle sue azioni: Lara agisce per il bene del mondo o solo per arrivare alla verità sul suo passato? E in ogni caso, chi risponderà di tutte le morti causate dagli eventi messi in moto da Miss Croft? Domande poste, seppur in altre forme e contesti, anche da altre grandi opere come la saga Civil War della Marvel o la trilogia del Cavaliere Oscuro di Nolan, alla quale gli autori di Eidos e Crystal Dynamics hanno rubato più di uno spunto.
Interrogativi filosofici e metavideoludici a parte, Shadow of the Tomb Raider rimane un grandissimo gioco, quasi un prolungamento senza soluzione di continuità dei suoi predecessori. Le cui parti migliori rimangono le “challenge tomb”, ambienti il cui accesso è spesso nascosto e al cui interno si sviluppano complessi puzzle da risolvere con destrezza, abilità e un bel po’ di strategia. Non si tratta di sfide titaniche, certo, ma tra la bellezza delle ambientazioni, la cura per i dettagli e l’originalità delle trovate di gameplay, completarne una è sempre una bella soddisfazione. Da segnalare la possibilità di modificare la difficoltà della partita in maniera modulare, con opzioni separate per enigmi, quantità di indicazioni sulla mappa e scontri coi nemici. Il gioco prevede infatti anche sezioni di combattimento, da affrontare in modalità furtiva oppure a suon di proiettili e frecce: in entrambi i casi l’intelligenza artificiale dei cattivi di turno si è rivelata facile preda delle nostre furberie. Poco male però, visto che non è questa la vera spina dorsale del gioco. Tomb Raider è sinonimo di avventura e scoperta, e questi cinque anni passati insieme alla nuova Lara hanno rinfocolato il nostro amore per questa eroina poligonale. E se Shadow chiude idealmente questa ultima trilogia, non c’è dubbio che Miss Croft stia già architettando la sua prossima spedizione.