di Dario Marchetti
Il mercato digitale dei videogiochi è inondato da una marea di titoli che puntano a conquistare frotte di giocatori nostalgici con grafiche quadrettose e suoni retrò. Ma solo pochi di questi riescono ad andare oltre l’apparenza, catturando anche la magia e le meccaniche di quell’era a cavallo tra gli ‘80 e i ‘90 per costruire un ponte videoludico tra passato e presente. E’ il caso di The Messenger, una piccola grande lettera d’amore sottoforma di pixel, che noi abbiamo provato nella versione per Nintendo Switch.
La premessa è davvero old school, quindi si va dritti al sodo: per sconfiggere un’armata di demoni, un giovane ninja deve trasportare una preziosa pergamena sulla cima di una gigantesca montagna. Dalla grafica alle meccaniche, The Messenger si presenta in tutto e per tutto come un gioco a 8 bit: pochi ma semplici controlli, gameplay senza troppi fronzoli e curva di difficoltà medio-alta. La struttura del gioco si dipana in livelli alla vecchia maniera, pieni di demoni da eliminare a colpi di spada o shuriken e precipizi da superare con salti acrobatici, anche grazie a potenziamenti come il rampino e la tuta alare.
Fin qui tutto normale, forse anche banale. Se non fosse per la scrittura dissacrante che c’è dietro il gioco, con una continua e convinta rottura della quarta parete, operata attraverso piccoli dialoghi di intermezzo utili a spezzare l’azione e a strappare vagonate di risate ai giocatori più perspicaci. Dialoghi che funzionano anche come meta-narrazione di un gioco che, senza fare troppi spoiler, dopo una bella manciata di ore si fa camaleontico e trasformabile, grazie a una trovata geniale che riesce a fare della nostalgia una meccanica di gioco fondamentale.
Sconfitto il boss finale, o almeno quello che ci viene proposto come tale, The Messenger si trasforma in un viaggio ludico-temporale tra due epoche. Nei livelli precedentemente visitati compaiono infatti dei varchi magici che dall’era 8 bit ci portano a quella, di poco successiva, dei 16 bit. Di conseguenza tutto, dalle animazioni alla grafica, dal sonoro ai nemici, cambia forma e aspetto, consentendoci di risolvere puzzle ambientali e scovare via d’accesso ad aree precedentemente inesplorabili. E la natura del gioco stesso passa, senza nemmeno l’uso del flusso canalizzatore, da una classica struttura a livelli a quella più aperta, tipica di un metroidvania. Insomma The Messenger dimostra che con le giuste intuizioni e infondendo una cura maniacale in ogni dettaglio si riesce a trasformare un titolo apparentemente già visto e rivisto in un cult capace di conciliare retromania e futurologia.