di Dario Marchetti

Non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume. Perché nello spazio infinitesimale che intercorre tra due istanti il fiume è già cambiato, ma soprattutto siamo già cambiati noi. E allora non c’è da stupirsi se God of War, il titolo che segna il ritorno dell’omonima saga nata nel 2005 su Playstation 2, rappresenti un cambiamento a dir poco radicale, sia rispetto a se stesso che al resto dell’industria videoludica. Il gioco è da poco sbarcato in esclusiva, ca va sans dire, su Playstation 4. E giocarci è stata un’esperienza così potente ed inedita da farmi rivalutare di cosa sia capace un videogioco.
Realizzare un sequel all’altezza di un gran gioco è già di per sé un’impresa non proprio facile. Ma riprendere il filo di una saga dopo 5 anni di silenzio, mutando radicalmente il DNA dei precedenti capitoli, e farne un successo, è quasi impossibile. Eppure God of War ci riesce. Lì dove prima c’erano meccaniche ultra-adrenaliniche, ora c’è un combat system raffinato e che premia la tattica. Lì dove c’erano personaggi appena tratteggiati e monodimensionali, ora ci sono esseri umani con una storia da raccontare. Lì dove c’era un Dio della Guerra assetato di sangue, ora c’è un uomo che deve imparare a essere padre.
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