Hellblade, viaggio (virtuale) al termine della notte

di Dario Marchetti

Senua è una giovane guerriera celtica. Senua ha una missione: scendere gli scalini di Helheim, l’inferno di stampo norreno, e riportare in vita il suo amato Dillion, brutalmente ucciso da un gruppo di vichinghi. Senua sa che si tratta di un viaggio di sola andata. Senua sa che dovrà affrontare l’oscurità che la divora, quelle mille voci che a ogni passo urlano, ringhiano, sussurrano, ripetendo ossessivamente tutto e il contrario di tutto. Senua, infatti, soffre di una grave forma di schizofrenia. E altro che psichiatri e psicofarmaci: per tentare di riemergere dagli abissi non le rimane altro che se stessa.

Se questa vi sembra una storia bizzarra e fuori dal comune, allora siete già metà dell’opera. Perché lo studio britannico Ninja Theory, celebre per il reboot della saga d’azione e pallottole Devil May Cry, ha pensato a Hellblade: Senua’s Sacrifice come a una lucidissima, perdonate il gioco di parole, rappresentazione della follia. Una storia incredibilmente umana, fatta di amore, sofferenza e tenacia, nella quale divinità vichinghe, rituali sacrificali e guerrieri fantasma armati d’ascia sono le scenografie di una storia altrimenti senza tempo. E proprio per questo più attuale che mai.

Sia chiaro: Hellblade non è un titolo adatto a tutti. Per la maggior parte del tempo ci ritroveremo a guidare Senua attraverso luoghi spettrali e inospitali, abitati da crudeli divinità del fuoco o maestri dell’illusione, accompagnati da mostruosi nemici pronti a farci a pezzi (e contro i quali combattere a colpi di spada) ed enigmi da risolvere con astuzia. Ma quello che il titolo di Ninja Theory perde in termini di giocabilità convenzionale lo riguadagna tutto sotto il profilo narrativo: tra flashback, visioni e deliri, il mondo di Senua  è infatti un caleidoscopio fatto di emozioni contrastanti, di orrori (molti) e delizie (poche), di luci in fondo a un tunnel e di baratri neri senza fondo. Reale o fittizio che sia, raramente in un videogame ci è sembrato tutto così terribilmente vero.

Ma anche occhi e orecchie vogliono la loro parte. Ecco quindi che Hellblade spicca per l’espressività quasi fotorealistica della sua protagonista, realizzata grazie alle prodezze del motion capture e dell’attrice Melina Juergens, ma anche per la componente audio. Ninja Theory ha infatti sfruttato la tecnologia della registrazione binaurale, in grado di dare ai suoni una tridimensionalità così spinta da ingannare il nostro cervello. Insomma, se durante una partita a cuffie inforcate dovesse capitarvi di sentire una voce alle vostre spalle, talmente realistica da indurvi a posare il controller e guardarvi attorno, tranquilli, non siete diventati pazzi. Non ancora, almeno.

 

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