Persona 5, se il Giappone pop-punk indossa la maschera di Jung

 

di Dario Marchetti

Persona 5

Da Dungeons & Dragons in poi, l’espressione “gioco di ruolo” è rimasta indissolubilmente legata al mondo fantasy, quello fatto di cavalieri e draghi, orchi e stregoni, spade e magia. Fortuna però che ogni tanto, e con risultati felici, nel mondo videoludico il genere riesce a sfondare lo steccato per correre libero nelle praterie di qualche altra ambientazione. E’ il caso di Persona 5, ultimo episodio di una lunga saga che in Giappone (ma non solo) ha da tempo raggiunto lo status di cult assoluto. E che tra giovani adulti, citazioni pop, design punk e una strizzatina d’occhio alla cara vecchia psicologia, tira fuori un incredibile ritratto interattivo dell’adolescenza contemporanea. In Giappone, certo, ma non solo.

Persona 5

Giù la maschera
Persona 5 racconta la storia di un liceale che dalla provincia viene spedito a Tokyo, dopo essere stato espulso dalla propria scuola per un’accusa (forse) ingiustificata di aggressione verso un altro studente. Nella capitale nipponica, grazie a nuovi amici e a una misteriosa app comparsa sullo smartphone, riuscirà ad accedere a un mondo parallelo dove prendono forma le perversioni del mondo adulto. Una dopo l’altra, ai protagonisti toccherà sconfiggerle tutte per riportare ordine nel mondo reale, facendo a pezzi le tesi e gli stereotipi di una società che vuole a tutti i costi bollarli come adolescenti problematici. Per riuscirci dovranno affidarsi ai poteri delle Persona, creature magiche nate da quelle maschere di junghiana memoria che, uno dopo l’altro, i ragazzi riusciranno, letteralmente, a strapparsi dal volto. Rivelandosi finalmente, sia a se stessi che agli altri, per ciò che sono.

Persona 5

Dai banchi alle banche
Come per i predecessori, la struttura di gioco di Persona 5 è divisa in giornate, con lezioni di scuola da seguire, lavoretti da portare a termine e legami sociali da coltivare, utilissimi per imparare nuove abilità e potenziarsi nel combattimento. Che segue più o meno i canoni del genere, introducendo in più la (tragi)comica possibilità di dialogare coi nemici, negoziando una tregua anziché darsele di santa ragione. Il tempo, però, non è infinito: ogni missione andrà affrontata come un arzigogolato furto al caveau di una banca, un piano da sviscerare nei minimi dettagli (e nei giusti momenti) prima di tentare l’affondo finale e riuscire a impossessarsi del prezioso bottino. Un sistema di gioco per certi versi complesso, e che potrebbe non piacere a tutti, ma che regala a Persona 5 una profondità unica nel suo genere, rendendo ogni partita diversa dalla precedente. Anche perché per completare il gioco nella sua interezza serviranno almeno 80 ore.


Pop, funk, jazz

Come è lecito aspettarsi dalle folli menti dei game designer giapponesi, Persona 5 è un gigantesco calderone dentro il quali finiscono suggestioni artistiche e musicali di ogni tipo. Per rendersene conto basta guardare il filmato d’apertura, un capolavoro d’animazione da far invidia a certi prodotti televisivi, per poi lasciarsi prendere dai colori pulsanti dei menu, dallo strabiliante design dei personaggi (e delle Persona), dalle musiche jazz/fusion che fanno da contrappunto a situazioni grottesche di ogni tipo e dai richiami ad altri cult, tra cui la Twin Peaks di Lynch e Frost. Insomma, un pout-pourri multimediale che saprà accogliere anche chi non conosce la saga, così come mandare in visibilio i fan della prima ora. Pronti a gettare la maschera?

Persona 5 è già disponibile su Playstation 3 e 4.

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