La sfida di Apple: costruire iPhone con il 100% di materiali riciclati

di Dario Marchetti

Smartphone, computer, televisori. Sotto una scocca dal design accattivante, tutti i gadget che amiamo contengono materiali (soprattutto metalli) che rappresentano una grande minaccia per l’ambiente quando questi oggetti non vengono smaltiti correttamente. Vi siete mai chiesti dove finiscono tutti i dispositivi che buttiamo via? La risposta sta nei giganteschi cimiteri di immondizia elettronica, o “e-waste” per gli americani, discariche a cielo aperto che in alcuni paesi dell’Africa (e non solo) accolgono ogni anno decine di milioni di metri cubi di rifiuti digitali. Che finiscono poi per avvelenare il terreno, l’aria (quando vengono dati alle fiamme) e, ovviamente, le persone. Un problema grave che ora sta interessando anche l’Asia, la fabbrica dell’elettronica mondiale, dove secondo uno studio dell’Onu i rifiuti digitali sono cresciuti del 63% in meno di cinque anni.

Va da sé quindi che quello della sostenibilità e delle energie rinnovabili sono ormai punti cardine nella strategia di tutti i colossi hi-tech. Da Amazon a Facebook, passando per Google e Microsoft, le grandi multinazionali del digitale stanno tutte adottando strategie “green” per ridurre al minimo l’impatto dei propri “data center”. Ovvero quei giganteschi edifici nei quali si trovano i server che rendono possibile l’utilizzo del 99% dei servizi che utilizziamo ogni giorno. Stessa cosa per chi invece si occupa soprattutto di hardware, come ad esempio Samsung e soprattutto Apple: l’azienda di Cupertino è infatti tra le più attente alle tematiche ambientali e ha già raggiunto obiettivi importanti come l’alimentazione dei propri data center con energie provenienti al 100% da fonti rinnovabili (e al 96% per tutti gli altri impianti), l’eliminazione di materiali come mercurio e arsenico dagli schermi dei dispositivi e l’utilizzo al 99% di carta riciclata per tutti gli imballaggi.

L’ultima sfida però è forse la più ambiziosa di tutte: arrivare a produrre iPhone utilizzando il 100% di materiali riciclati, affrancandosi dall’estrazione mineraria per l’approvigionamento delle materie prime. Un obiettivo da realizzare a lungo termine, ma verso il quale Apple ha già compiuto un primo passo grazie alla linea di robot Liam, sviluppata appositamente per smontare in maniera capillare, fino all’ultima vite, ogni singolo iPhone. Per ogni 100mila smartphone, questo macchinario riesce a recuperare qualcosa come 1900kg di alluminio, 800kg di Rame e 55kg di stagno, metalli che già oggi vengono fusi e poi riutilizzati per produrre nuovi telefoni. I passi da fare per arrivare a una “closed loop supply chain”, cioè una catena che dalla materia prima al prodotto finito preveda solo materiali riciclati e fonti rinnovabilli, sono ancora molti. E soprattutto prevedono l’impegno non solo di Apple, ma anche delle decine di aziende che fanno parte del ciclo produttivo. Un elemento che deve ricordarci come il “green” non sia una semplice bandiera da sventolare, ma una filosofia che oltre a far bene all’ambiente può, e anzi deve, creare posti di lavoro e rafforzare le economie (g)locali.

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