di Francesco Taglialavoro
Le maggiori società di software per gli smartphone hanno sede negli Usa. Android, iOS e Windows mobile. Ci sono queste compagnie dietro alle nostre telefonate e tutto ciò che oggi si fa (Web, chat, video-games, etc. etc.) con un telefonino in mano. Qualche anno addietro Nokia lanciò un progetto per un software open source per telefonini, coinvolgendo diversi sviluppatori, (fra i quali l’italiano Stefano Mosconi) ma Nokia poi decise di usare il sistema di Microsoft. Meego, il sistema a cui lavorava il team open source della società finlandese, diede vita al sistema Sailfish OS che venne installato nei devices di Jolla, società creata da alcuni fuoriusciti dalla Nokia. Qualche anno sul mercato con telefonini e tablet, anche prototipi di smart watch, poi Jolla passò a una politica di licensing e oggi si dirige verso i mercati russo e cinese. Ripercorriamo con Stefano Mosconi questi anni fino ai giorni nostri.
Da dove vieni e che studi hai fatto?
Vengo da Roma, cresciuto tra il quartiere Trionfale e borgata Ottavia. Ho studiato alla Sapienza di Roma, Ingegneria delle Telecomunicazioni. Laureato nel lontano 2003.
Dove hai vissuto e lavorato?
I primi 27 anni a Roma, con una piccola parentesi di 6-7 mesi a Barcellona, Spagna. Gli ultimi 11 anni a Helsinki in Finlandia.
Quando hai lasciato l’Italia? (Video)
Esattamente il 28 Ottobre 2005. Lavorare in Tech non era facile a Roma (e in Italia in genere) e dopo un breve periodo al centro ricerca all’Anagnina per Ericsson e poi come sistemista a Italferr (la compagnia di progettazione delle ferrovie) ho capito che volevo lavorare molto più in tech e che l’ambiente di lavoro italiano (dove importa più chi conosci di cosa sai fare) non si prestava molto al mio stile. Avendo studiato un breve periodo a Barcellona con il programma Erasmus ero consapevole delle opportunità (e delle difficoltà) date dal vivere in un altro paese. Così ho cercato in tutti i modi di uscire dall’Italia e quando ho scoperto di un progetto per un dispositivo basato su Open source in Nokia in Finlandia ho pensato che quello era il posto per me. E alla fine, dopo molto provare, sono stato assunto. Il fatto che mia moglie sia Italiana di origini Finlandesi ha dato un po’ più senso al tutto.
Quando è finita, e cosa ti ha dato, l’esperienza con Nokia? (Video)
Mentalmente l’esperienza di Nokia è finita l’11 Febbraio 2011 quando l’allora amministratore delegato fece una conferenza interna dove era già chiaro che il settore di ricerca e sviluppo di Nokia sarebbe stato ridimensionato drasticamente e il progetto in cui lavoravo io e altri 2000 colleghi chiuso. Poi ci è voluto un pochetto a uscire dalla compagnia quindi praticamente a Marzo 2012 è stata l’ultima volta che ho indossato un badge Nokia. Nokia era una delle più grandi aziende europee al tempo e il re indiscusso nel campo della telefonia. Una delle aziende più multiculturali al mondo, dove la diversità di cui tanto si parla oggi in Silicon Valley era una risorsa non un problema. Ho lavorato a stretto contatto per 8 anni con persone di 35 nazionalità diverse in un ambiente che è riuscito ad attrarre sotto lo stesso tetto menti brillanti da ogni dove. Sono cresciuto umanamente e professionalmente in una maniera che non sarebbe stata possibile probabilmente in nessuna azienda italiana.
Non sarei chi sono ora se non fosse per Nokia e devo tanto all’azienda per cui tuttora nutro un rispetto e una stima enorme. Con tutti i problemi che l’azienda ha avuto si è sempre comportata egregiamente con i dipendenti ed è sempre riuscita a reinventarsi. E sono sicuro che ci riuscirà anche stavolta (e ci sta riuscendo). Quando era chiaro che saremmo stati licenziati Nokia ha istituito un programma di supporto e avviamento all’imprenditoria, dando dei grant e del supporto pratico a chi volesse intraprendere un percorso imprenditoriale (attivo tuttora). Ed è solo per quel motivo che sono diventato un imprenditore.
E hai contribuito a fondare Jolla?
La storia di Jolla è cominciata poco dopo quell’11 febbraio di cui sopra, alimentata da quel progetto di avviamento imprenditoriale e un po’ di follia. Credevamo talmente tanto in quel che stavamo facendo (un sistema operativo basato su Linux che doveva competere con Android e iOS) che abbiamo deciso di continuare a farlo, fuori da Nokia. 4,5 anni, uno smartphone, una campagna di crowdfunding da $2.5M, un tablet quasi lanciato sul mercato, 36+ versioni del sistema operativo e tantissime gioie e tante tante notti insonni dopo, l’esperienza di Jolla è finita per me a Dicembre del 2015. Il 2015 è stato un anno estremamente difficile dal punto di vista finanziario, nonostante fossimo riusciti a raccogliere circa $50M di finanziamenti nei 4 anni precedenti quei soldi erano finiti e l’azienda era sull’orlo del collasso. A dicembre per fortuna siamo riusciti a salvare l’azienda con una nuova iniezione di capitale ma ovviamente questo ha cambiato gli equilibri societari, l’80% degli sviluppatori sono partiti e i progetti di crescita drasticamente ridimensionati. Era troppo doloroso continuare a restare in azienda a quelle condizioni, avevo dato tutto quello che avevo e quindi ho dato le dimissioni da tutte le cariche operative.
Anche l’esperienza di Jolla è stata un’esperienza di forte crescita. Il problema è che ho fatto esperienza per 15 anni di lavoro in soli 4,5. È stato come entrare in una navicella spaziale senza casco e tuta di protezione, lanciato verso lo spazio con poco carburante. Non ero mai stato un imprenditore né la mia famiglia ha una grande storia a riguardo quindi ho dovuto costruirmi le ali mentre cadevo. Jolla mi ha dato tanto (almeno quanto io ho dato a Jolla) e anche in questo caso non sarei chi sono e non saprei quel che so se non fosse stato per quell’esperienza. Certo tutto ha un prezzo, ma sto meglio dall’altro lato del fiume.
Ultimamente è nato Britemind.io
Britemind.io è nata come continuazione dell’esperienza di Jolla all’inizio del 2016. In Jolla sono cresciuto come manager di azienda e di persone e avevo avuto a che fare con mille fasi della vita dell’azienda, dal comprare la macchina del caffè a firmare contratti da milioni di euro. Avevo assunto personalmente e fatto crescere più di 80 persone solo in Jolla (e insieme a quelle assunte in Nokia più di 100). Avevo incontrato amministratori delegati, Cto, investitori, business developer e allo stesso tempo tenuto i contatti con sviluppatori, tester, Sw project managers. Ero sempre stato il raccordo tra due mondi: business e tecnologia. So quanto è difficile fare startup e quanto è difficile fare innovazione all’interno di una grande compagnia, perché ho fatto entrambe le cose. Ormai ero un imprenditore e l’idea di avere un “lavoro fisso” non la pensavo (e non la penso) concepibile. Allo stesso tempo non avevo l’energia per iniziare un’altra startup. Così ho deciso di aprire il mio studio di consulenza e fare il freelance. Questa esperienza mi dà tanto. Da una parte la flessibilità di lavorare con i progetti e le persone che più mi piacciono, dall’altra l’opportunità di incontrare molte persone molto più intelligenti di me da cui posso imparare e allo stesso tempo mettere a buon uso l’esperienza che ho nei miei campi ed evitare che altri facciano gli stessi errori che ho fatto io. Lavoro con grandi aziende e piccole startup e riesco a divertirmi e allo stesso tempo crescere e andare avanti. Più che altro lavoro nel campo della gestione dell’innovazione sia interna che in collaborazione con startup esterne alle aziende e mi occupo di digitalizzazione (strategia e program management). Sto lavorando con un partner ad un’idea di leadership development for technology companies che spero vada live in autunno, che è un tema molto vicino al mio cuore e a cui ho dedicato molto tempo durante l’esperienza di Jolla. Il tema (o il problema) della leadership nelle compagnie tecnologiche è molto importante (vedi il caso di Uber per esempio) perché in questa epoca non credo sia possibile scindere il rispetto per il personale dal rispetto per il cliente (Nokia docet).
Nel tempo libero Britemind mi dà anche la possibilità di dedicarmi di più ad affinare i miei skills di public speaking e a partecipare a qualche conferenza ogni tanto. Inoltre collaboro con gli enti no-profit e gli acceleratori locali che supportano le startup (Startup Sauna, Vertical.vc che tra l’altro è di un altro Italiano, Finnish Business Angel Network) per dare una mano all’ecosistema, che è cresciuto dal 2011 con numeri spaventosi per un posto piccolo come la Finlandia (Video). E dall’altra parte collaboro con l’università Aalto nell’educazione di nuove generazioni di aspiranti imprenditori (Aalto Venture Partners).
Mi piacerebbe portare le mie conoscenze in Italia (Video) un giorno, credo che anche lì ci sia una mancanza di leadership aziendale in molti posti. Vedo con piacere che l’ecosistema startup sta crescendo in numeri e importanza e mi piacerebbe aiutare altri ragazzi a diventare imprenditori.
Conosci Linux? Che pensi in particolare di Linux e in generale del software open source o free software?
Non sono un hardcore hacker ma ho lavorato su sistemi operativi Open Source per 11 anni, due cose in croce le posso mettere. Chiedermi cosa penso di Linux è una domanda molto filosofica quasi religiosa. Credo che Linux, o meglio l’open source, sia la chiave nascosta di tutta l’innovazione che stiamo vedendo durante questi anni. Android? Linux. iOS? Basato su Darwin, BSD (open source). Amazon AWS? Powered by Linux. Tesla? Linux (sì anche nelle macchine). IoT devices? Linux. Routers? Linux. Televisori, Lavatrici, aspirapolveri… Il mondo tecnologico gira su Linux, solo che nessuno se ne rende conto. Le licenze open source (unita alla diffusione delle informazione e del codice che internet ha attivato) hanno permesso all’innovazione di accelerare a passi da gigante e non penso che il mondo possa farne a meno a questo punto. Open source è il motore dell’innovazione. Il fatto che uno possa prendere ed utilizzare gratuitamente del codice e, se in grado, correggere gli errori e migliorare il software ad uso di tutti è fantastico. Fare soldi con l’open source però non è semplice e solo pochissimi ci riescono (RedHat uno dei pochi) e il problema è che tanti subsystems nello stack Linux sono mantenuti da pochissime persone nel loro tempo libero. (Vedi ad esempio quello che è successo qualche anno fa con Heartbleed. Il problema non è ovviamente che Open Source non è sicuro mentre closed sorce è sicuro. È che Open Source viene usato da tutti e pochi contribuiscono in cambio)
Ha conosciuto Linus Torvalds?
No, ho incontrato il padre una volta – Nils Torvalds, giornalista e parlamentare. Mai incontrato Linus.
Collabori con qualche mass media di tipo tradizionale online?
No non collaboro con nessun mass-media online, scrivo quando ho tempo su medium. Non si è mai presentata l’occasione onestamente. Interessati? 😀
Che rapporto hai con i blog?
Leggo, scrivo. Sono un fantastico modo di conoscere nuove idee e nuove persone. Solo che c’è così tanto contenuto online che la “curation” delle sources è fondamentale.
Che rapporto hai con i social network? Pensi che per affermarsi sul Web siano indispensabili? (Video)
I social network sono uno strumento come tanti altri, dipende dall’uso che se ne fa. Quello che molti ignorano è che i social media sono tecnologia di altissimo livello. Dietro ogni social media ci sono algoritmi sofisticatissimi che costruiscono un digital profile della nostra persona con l’obiettivo di assecondare ed anticipare i nostri bisogni. Ho dato recentemente un talk a proposito. Sono un ingegnere a cui piace capire come funzionano gli algoritmi e come seguano o sovvertano le regole sociali IRL. Noi siamo il prodotto nei social media. E questo può essere usato a nostro favore o contro di noi. Vedi ad esempio il ruolo che Facebook ha avuto nell’influenzare le elezioni americane. Per quanto riguarda la loro indispensabilità nell’affermarsi sul web, sono sicuro che non possono venire ignorati se si vuole costruire un brand personale ma sono uno strumento di supporto per chi si è affermato nella vita reale e non viceversa. In termini percentuali non sono molti i blogger, gli youtubers o gli instagrammers che a) riescono a vivere di quel che fanno b) sono nati esclusivamente sul web. Ci sono moltissimi wannabe ma pochi che ce la fanno davvero. E chi ci è riuscito ci ha dovuto investire così tanto tempo. Se fai il blogger devi bloggare tutti i giorni dell’anno anche più volte al giorno, se fai lo youtuber devi girare costantemente, idem per instagram e tutti gli altri. È un lavoro.
Che rapporto vedi tra i giovanissimi e web (differenze con 10/15 anni fa)? (Video)
10-15 anni fa praticamente il web era solo per geeks, c’era IRC, i Forum, le e-mail e poco altro. Non molti avevano una connessione a internet e praticamente nessuno aveva uno smartphone con una fotocamera e costantemente connesso a internet. Ora c’è Facebook e Instagram e i giovani oggi hanno un’introduzione alla tecnologia in età molto precoce: qui in Finlandia i bambini di 7-8 anni hanno il primo smartphone, forse in Italia avviene un po’ più in là (tra i 10 e i 13?). Ed è un momento in cui non sono maturi abbastanza per regolarne l’uso. Quindi quello che succede è che perdono la capacità di interagire socialmente al di fuori di uno schermo, soffrono di dipendenza da tecnologia appena entrano nell’adolescenza e cercano la validazione della propria persona in un like o un cuoricino su instagram come se fosse la vita vera. Tutti pubblicano le foto delle vacanze e i selfie felici. Anche se dietro sono dilaniati da incertezze e paure. E siccome si paragonano agli altri coetanei che mettono solo selfie ancora più felici c’è la classica domanda “Perché io sono così sfigato e non ho questo e quello che tutti gli altri sembrano avere?” (il sembrano è fondamentale). È un problema per gli adulti, pensiamo per i bambini che non hanno ancora formata un’identità solida. Credo che sia un problema e credo che molti genitori non siano pronti ad affrontare questo problema nella sua serietà. La dipendenza da smartphone/social media è una cosa seria per gli adulti, figuriamoci per i giovanissimi. È preoccupante.
È vero che ora si può fare tutto remotamente, i messaggini su whatsapp, le foto su instagram, i post su facebook. Ma i ragazzi stanno vivendo una vita virtuale che non è la vita reale e la cosa più problematica è che non se possono rendere conto se non vengono aiutati. C’è una dissociazione della propria persona fisica con la propria identità virtuale che è enorme. Da genitori facciamo il possibile per educare in età precoce i nostri bambini all’utilizzo moderato e cosciente della tecnologia (e la mamma è molto più brava di me in questo 🙂 ) ma purtroppo non tutti sono così attenti e così forti.